I Magi, al vedere la stella, provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.

Matteo 2,10-12

L’ Epifania è la grande solennità della manifestazione del Signore, Re delle genti, unico Dio di tutta la terra: l’adorazione dei Magi, narrata solo nel Vangelo di Matteo, è accompagnata, nella liturgia, dalla profezia di Isaia, che vede i popoli muoversi alla luce del vero Dio, da un salmo regale che ribadisce gli onori che i sovrani di tutta la terra tributeranno al vero Re e Signore, principe della Pace, e dalla riflessione di san Paolo agli Efesini, per cui tutte le genti sono chiamate, in Cristo, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e a essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo. La salvezza è per tutti, non solo per alcuni: i Magi, venuti da Oriente per offrire in dono oro, incenso e mirra al re dei Giudei che è nato, rappresentano questa totalità, sono la primizia della moltitudine che non si può contare, di ogni tribù, lingua, popolo e nazione che Dio ha chiamato e riscattato con il sangue dell’Agnello, come ricorda l’Apocalisse.

I Magi simboleggiano gli stranieri e i pagani che riconoscono la venuta del vero Dio. Originariamente, si pensa comunque che i personaggi non sono tre e non sono Re. La provenienza da Oriente fa pensare alla Persia, perché «magio» è un vocabolo di questa terra ma dall’etimologia un po’ oscura.

LE INTERPRETAZIONI DEI PADRI DELLA CHIESA

Leggende e interpretazioni si sprecano. I Padri della Chiesa ne hanno date diverse. Tertulliano, nel II secolo, concede ai Magi la qualifica di Re; nello stesso periodo Sant’Ireneo spiega il significato dei tre doni: la mirra è l’olio tradizionalmente utilizzato per la sepoltura e allude alla Passione di Cristo, l’oro è simbolo di regalità, l’incenso è riservato a Dio. Nel XII secolo, invece, Bernardo di Chiaravalle spiegherà che l’oro era per alleviare la povertà della Vergine, l’incenso per disinfettare la stalla di Betlemme e la mirra come un vermifugo. Lutero, quattro secoli dopo, li associa a fede, speranza e carità, le tre virtù teologali.
Un’altra leggenda armena vuole che i Re Magi fossero fratelli e riferisce i loro nomi: Melkon, che regnava sui Persiani; Baldassarre, il secondo, sugli indiani; Gaspare, il terzo, possedeva il paese degli Arabi.

I MAGI SIMBOLO DI CHI È IN RICERCA DI DIO

Al di là delle leggende, sterminate, la Chiesa li ha sempre considerati come simbolo dell’uomo che si mette alla ricerca di Dio: «Essi», ha detto Benedetto XVI nell’omelia della solennità dell’Epifania del 2011, «erano probabilmente dei sapienti che scrutavano il cielo, ma non per cercare di “leggere” negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno; erano piuttosto uomini “in ricerca” di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare».