«Scommettiamo sulla capacità di futuro dei giovani. Serve il lavoro per nutrire la speranza. Vorremmo che le comunità cristiane fossero sempre più luoghi di incontro e di ascolto, soprattutto dei giovani e delle loro aspirazioni, dei loro sogni, come anche delle difficoltà che si trovano ad affrontare». Per la «festa dei lavoratori» – non «festa del lavoro», celebrata dal comunismo positivista – il 1° maggio la Conferenza episcopale italiana nel messaggio «Giovani e lavoro per nutrire la speranza» sottolineano il valore dei contenuti dell’esortazione apostolica di Papa Francesco «Christus vivit» (2019) dopo il Sinodo sui giovani (2018). 

DISOCCUPAZIONE SEMPRE PIÙ PREOCCUPANTE – I dati mettono in luce che un quarto della popolazione giovanile non trova lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno. «Il quadro ci deve interrogare su quanto la società, le istituzioni, le comunità investono per dare prospettive di presente e di futuro ai giovani. Essi pagano anche il conto di un modello culturale che non promuove a sufficienza formazione e fatica ad accompagnarli nei passi decisivi della vita e non riesce a offrire motivi di speranza». I vescovi conoscono «l’impatto di tale situazione sulla vita ordinaria: vengono rimandate le scelte di vita e si rimuove dall’orizzonte la generazione di figli». Infatti l’Italia vive un gelido inverno demografico.

I GIOVANI SEMPRE PIÙ MARGINALI – Per le giovani donne c’è un ulteriore peggioramento delle opportunità lavorative e sociali. «Preoccupa il numero elevato di giovani che lasciano il Sud, le Isole e le aree interne per cercare fortuna nelle aree metropolitane del Nord Italia». Attenzione particolare merita «la situazione di precarietà lavorativa che vivono molti giovani: dove scarseggia la domanda di lavoro i giovani sono sottopagati, vedono frustrate le loro capacità e competenze e interpellano la coscienza dei credenti. Si avverte la fatica di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro e molte professionalità non trovano spazio nei giovani. Preoccupa anche il tasso dei giovani che non studiano né lavorano (Neet), quelli che finiscono nelle reti della criminalità, del gioco d’azzardo, del lavoro nero e sfruttato, della droga e dell’alcolismo». La disamina dell’episcopato è particolarmente severa, anche con il governo Meloni, che inventa una seduta-pubblicità il 1° maggio sul lavoro.

VERA DIGNITÀ PER TUTTI – Senza il lavoro non manca solo una fonte di reddito importantissima. ma i giovani disoccupati «crescono senza dignità – spiega Papa Francesco – perché non sono “unti” dal lavoro che è quello che dà la dignità». Incalzano i vescovi: «Vorremmo che le comunità cristiane fossero sempre più luoghi di incontro e di ascolto dei giovani e delle loro aspirazioni e sogni, ma anche delle difficoltà che affrontano». Di qui l’impegno «a condividere la bellezza e la fatica del lavoro, la gioia di poterci prendere cura gli uni degli altri, la fatica dei momenti in cui gli ostacoli rischiano di far perdere la speranza, i legami di chi collabora al bene». Sollecitano «la politica nazionale e territoriale a favorire l’occupazione giovanile: il rapporto scuola-lavoro, garantito nella sua sicurezza, aiuti a frenare l’esodo e lo spopolamento, specie nei territori con maggiore tasso di disoccupazione».

ECONOMIA DI PACE E NON DI GUERRA – Il messaggio dei vescovi auspica «un’economia di pace e non di guerra, un’economia che si prenda cura del creato, a servizio della persona, della famiglia e della vita; un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno. Desideriamo un’economia custode delle culture e delle tradizioni dei popoli, di tutte le specie viventi e delle risorse naturali della Terra, un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme. Condividiamo passi e contributi di tanti perché questa “economia di Vangelo” non rimanga un sogno ma diventi una realtà». Una nuova visione «dell’economia attenta al grido dei poveri e della Terra, dei giovani sempre più impoveriti, trovi spazio nel mondo culturale e alimenti le prospettive della politica a tutti i livelli. Scommettiamo sulla capacità di futuro dei giovani. Abbiamo bisogno dell’alleanza tra economia, finanza, politica, cultura per costruire reti di accompagnamento per i giovani».

FESTA ISTITUITA IL 1° MAGGIO 1955 DA PIO XII – La festa di «San Giuseppe artigiano» per aiutare i lavoratori a non perdere di vista il senso cristiano del lavoro, così incarnato nell’umile falegname di Nazareth e glorioso padre putativo di Gesù. Nel discorso con il quale istituisce la festa Papa Pacelli mette in guardia da un pensiero distorto sulla festa del lavoro, un pensiero allora legatissimo alla visione marxista della lotta di classe e privo di qualsiasi riferimento religioso. Il Pontefice ricorda che «il nemico di Cristo semina zizzania nel popolo italiano: specie nei lavoratori ha fatto e fa di tutto per diffondere false idee sull’uomo e il mondo, sulla storia, sulla struttura della società e dell’economia». Pio XII ha chiaro il principio che il lavoro deve essere mezzo per la salvezza, non inciampo che «contrasta con l’ordine di Dio». Perciò spiega che la Chiesa non può limitarsi alla richiesta di «un più giusto ordine sociale», ma deve primariamente assicurare al lavoratore una retta formazione cristiana, sollecitare legislatori e datori di lavoro, indicare i princìpi fondamentali. 

Giovanni Paolo II nella «Laborem exercens» (1981) «vangelo del lavoro»: «Questa verità, secondo cui mediante il lavoro l’uomo partecipa all’opera di Dio suo Creatore, è stata in modo particolare messa in risalto da Gesù Cristo, del quale molti dei primi uditori rimanevano stupiti e dicevano: “Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? Non è costui il carpentiere?”».

Pier Giuseppe Accornero